AndreaLombardini Il Mito Della Spontaneità .pdf
Nome del file originale: AndreaLombardini-Il-Mito-Della-Spontaneità.pdf
Titolo: Microsoft Word - TESI TUTTAshape2.doc
Autore: Andrea
Titolo: Microsoft Word - TESI TUTTAshape2.doc
Autore: Andrea
Questo documento in formato PDF 1.3 è stato generato da PScript5.dll Version 5.2 / Acrobat Distiller 6.0 (Windows), ed è stato inviato su file-pdf.it il 06/07/2016 alle 16:52, dall'indirizzo IP 95.240.x.x.
La pagina di download del file è stata vista 3452 volte.
Dimensione del file: 603 KB (146 pagine).
Privacy: file pubblico
Scarica il file PDF
Anteprima del documento
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di Laurea in Filosofia
TESI DI LAUREA
IL MITO DELLA SPONTANEITA’
L’improvvisazione jazzistica nell’estetica
contemporanea
Relatore:
Prof. GABRIELE TOMASI
Laureando:
ANDREA LOMBARDINI
Mat. n. 420564/FL
ANNO ACCADEMICO 2003-2004
INDICE
INDICE
Introduzione
9
I - L’improvvisazione. Una prospettiva storica
1. Introduzione
15
2. L'arte dimenticata: l'improvvisazione nella musica
occidentale europea
18
2.1. La musica antica: le esecuzioni improvvisate
18
2.2. Il Medioevo: il ruolo della notazione
21
2.3. Il Rinascimento: la scrittura improvvisativa
23
2.4. Il Barocco: il basso continuo
27
2.5. Il periodo Classico-Romantico
34
2.6. Il XX secolo
37
3. L’arte rinata: l’improvvisazione jazzistica
42
5
INDICE
3.1. L’esperienza del Jazz
42
3.2. Influenze africane
45
3.3. Il repertorio jazzistico, forme variabili
47
3.4. Armonie in cambiamento
52
3.5. In cerca di un vocabolario jazzistico
59
3.6. Tecniche e Procedure
61
3.7. Interplay tra libertà e convenzioni
69
II – Un’estetica dell’imperfezione
1. Una prospettiva filosofica sull’improvvisazione musicale 79
1.1. Two-stage art: la musica secondo N. Goodman
80
1.2. La terra di mezzo
83
2. L’improvvisazione come attivitÃ
86
2.1. Tra il disordine e la routine
86
6
INDICE
2.2. Il rischio
92
3. L’improvvisazione come prodotto: in cerca di un’ontologia
dell’improvvisazione
96
III - Arte come improvvisazione
1. L’improvvisazione nell’estetica di Dewey e Collingwood 113
2. Il processo creativo e il prodotto creativo
115
3. Problem-finding e problem-solving
118
4. Arte e linguaggio ordinario
121
5. La collaborazione artistica
123
6. Il ruolo del ready-made
127
Conclusione
133
Appendice
137
Bibliografia
142
7
8
____
_INTRODUZIONE
Introduzione
Nella storia della musicologia l’improvvisazione, definita come
creazione di musica nel corso della performance, ha avuto un
ruolo minore. Influenzati dalle ricerche tradizionali sulle arti
visive e sulla letteratura, i musicologi si sono concentrati per
lo più sulla composizione, in particolare sull’ opera completa,
analizzando le interrelazioni tra i suoi componenti e la sua
storia, e solo raramente si sono preoccupati degli aspetti
creativi necessari alla sua genesi.
La
riflessione
musicologiche
filosofica
e,
musicale
quando
si
rispecchia
dedica
le
ricerche
all’analisi
della
performance, lo fa per lo più in relazione alla composizione,
analizzando
cioè
i
problemi
riguardanti
l’autenticitÃ
di
un’esecuzione in relazione alle intenzioni del compositore. La
causa principale di questo orientamento dell’estetica musicale
risiede
molto
probabilmente
nel
fatto
che
l’espressione
musicale presa a modello per la riflessione teorico-filosofica è
quella della tradizione accademica europea, cioè la musica
cosiddetta “classicaâ€. E’, infatti, proprio nella tradizione
europea, specialmente dal Romanticismo in poi, che il ruolo
del compositore tende a separarsi nettamente da quello
dell’interprete. Inoltre, l’improvvisazione musicale è stata
considerata a lungo una forma musicale povera, a confronto
con
la
precisione
dell’organizzazione,
il
controllo,
la
complessità dei grandi capolavori della musica. Le opere
considerate
di
maggior
valore
9
sono
quelle
altamente
____
_INTRODUZIONE
organizzate e strutturate: sinfonie, opere, concerti e talvolta
musica da camera o sonate per piano. Raramente la lista
comprende opere brevi che suggeriscono una creazione
estemporanea.
L’obiettivo della mia ricerca è di riconsiderare storicamente il
ruolo
dell’improvvisazione
nella
musica
occidentale,
di
mostrare come si possa riconoscere nella musica jazz il
modello di musica improvvisata contemporanea e, infine, di
affrontare alcune questioni di estetica musicale relative
all’improvvisazione.
Il primo capitolo affronta la storia della musica improvvisata.
L’ambito dell’indagine è proprio quello della musica colta
europea, per dimostrare come elementi di improvvisazione
siano sempre stati presenti e per comprendere i motivi per cui
questa pratica è andata diminuendo col passare dei secoli. In
un
secondo
momento
mi
dedicherò
alla
musica
jazz,
assumendola come modello per le analisi estetiche che
seguiranno. Questo perchè l’improvvisazione riveste in essa
un ruolo di primo piano, pur mantenendo la pratica musicale
un legame con l’impianto teorico della musica europea.
L’analisi qui proposta dell’improvvisazione jazzistica non segue
una prospettiva storica ma mira invece ad individuare i
processi che stanno alla base della pratica jazz.
Penso
che
solo
attraverso
un
approfondimento
tecnico
dell’improvvisazione jazzistica si possano far emergere e
comprendere questioni di carattere estetico-filosofico.
Poste,
dunque,
alcune
basi
relativamente
tecniche,
nel
secondo capitolo affronterò l’improvvisazione da un punto di
10
____
_INTRODUZIONE
vista filosofico. Come si vedrà il termine “improvvisazione†è
comunemente riferito a due domini diversi, ovvero all’attivitÃ
dell’improvvisazione e al prodotto di questa attività . Alla luce
di questo duplice uso del termine approfondirò in primo luogo
l’improvvisazione
jazzistica
come
pratica
musicale
e,
successivamente, tratterò del prodotto dell’improvvisazione da
un punto di vista ontologico.
Nel terzo capitolo prenderò in esame due importanti filosofi
del XX secolo, J. Dewey e R. G. Collingwood. Entrambi hanno
approfondito lo studio dei processi dell’arte piuttosto che dei
prodotti. Come si vedrà , questo ci permette di interpretare
alcune loro concezioni in relazione ad un’idea di arte come
improvvisazione.
11
12
CAPITOLO I
L'improvvisazione. Una prospettiva storica
13
14
CAPITOLO I
1. Introduzione
Dare
un
inquadramento
improvvisazione
teorico
musicale
di
ogni
esempio
comporterebbe
un
di
lavoro
enciclopedico. In realtà tutta la storia dello sviluppo musicale
è
accompagnata
improvvisare.
La
da
manifestazioni
musica,
del
e
dal
resto,
desiderio
nasce
di
come
improvvisazione per essere poi codificata e strutturata in via
orale o scritta.1 Inoltre è importante rendersi conto che la
"storia
della
musica"
comunemente
intesa
si
riferisce
pressoché esclusivamente alla musica occidentale, Europea o
comunque
di
stampo
Europeo;
al
contrario
una
storia
dell'improvvisazione musicale dovrebbe approfondire una lista
sorprendentemente estesa di pratiche musicali extra-europee
quali la musica Islamica, il blues e il jazz, la musica Turca,
molta musica Africana, la musica Polinesiana, quella indiana,
la musica dei nativi d'America, il Flamenco, etc. Ci si
accorgerebbe molto presto del semplice fatto che la musica
improvvisata
era
ed
è
tuttora
legata
ad
ogni
diversa
manifestazione culturale dell'essere umano, musicale e non.
Per quel che riguarda l'ambito di questa ricerca ho cercato
tuttavia di soffermarmi solo sulla musica Europea in quanto
condivisa base culturale e, per l'ultimo secolo, al Jazz come
manifestazione musicale che trova nell'improvvisazione una
1
E. T. FERAND, Improvisation in Music History and Education,
“The
Proceedings of the Musical Teachers National Association for 1940â€,
(1940), pp. 274-286, qui p. 274.
15
CAPITOLO I
delle sue qualità essenziali.
Per
quel
che
riguarda
la
musica
Occidentale
Europea,
l’improvvisazione è stata trattata in maniera approfondita e
generale da un solo autore, autentico pioniere degli studi
sull’argomento: Ernst Ferand (1887-1972)
con il testo Die
Improvisation in der Musik (1938) e una serie di articoli
apparsi
in
varie
all’espansione
di
pubblicazioni.
studi
sul
Dagli
jazz
e
anni
’60,
grazie
all’approfondimento
etnomusicologico di manifestazioni musicali appartenenti ad
altre culture, la letteratura incentrata sull’improvvisazione è
aumentata restando tuttavia modesta rispetto alla mole di
studi sulle diverse musiche. La quasi totalità di questi testi o
degli articoli concernenti l’improvvisazione è in lingua inglese,
non tradotta e di non facile reperibilità . Le comuni storie della
musica, tra cui quella americana di Donald Jay Grout e Claude
Palinsca e l’italiana di Elvidio Surian, sono per lo più dedicate
alla musica europea o di diretta derivazione europea, e, anche
se si limitano semplicemente ad accennare i percorsi della
musica improvvisata, aiutano a inserire meglio quest’ultima
all’interno
delle
altre
manifestazioni
musicali
e
culturali
incentrate soprattutto sulla composizione.
Le aree di studio sull’improvvisazione nella musica extra
europea sono principalmente tre: la musica indiana e dell’asia
del sud, la musica persiana e quella afroamericana, jazz in
particolare.
Tralasciando
eccessivamente
2
le
dispersive
Sull’improvvisazione
nella
prime
per
musica
due,
ricerca2,
questa
indiana
pertinenti
si
veda:
D.
si
ma
può
BAILEY,
Improvisation: Its Nature and Practice in Music, Da Capo Press, New York
16
CAPITOLO I
affermare che negli ultimi trent’anni alcuni testi dedicati
all’approfondimento dell’improvvisazione nella musica jazz
hanno raggiunto una certa notorietà come Ways of the Hand
di
David
Sundnow
(1978),
che
analizza
il
processo
dell’apprendimento dell’improvvisazione jazzistica attraverso
l’esperienza diretta dell’autore con attenzione alla psicologia e
agli aspetti culturali; e Improvisation di Derek Bailey (1980),
che espone per lo più un punto di vista pratico sulla moderna
improvvisazione nel jazz, nel barocco e nella musica indiana
ma è arricchito da numerosi spunti di storia della musica ed
etnomusicologia.
Due importanti pubblicazioni dell’ultimo decennio sono l’esteso
Thinking in
Jazz di
Paul
Berliner
(1994)
che
contiene
un’approfondita analisi storica ed esecutiva delle diverse
pratiche jazzistiche, soffermandosi sull’evoluzione dei ruoli dei
diversi
strumenti,
e
degli
autori
principali;
e
Saying
Something, Jazz Improvisation and Interaction di Ingrid
Monson
(1996),
maggiormente
incentrato
sugli
aspetti
collaborativi dell’improvvisazione.
Vediamo ora, brevemente, di tracciare un percorso storico e,
a tratti, più specificatamente tecnico, dell’improvvisazione
musicale nella musica colta europea e afroamericana.
1992; T. VISWANTHAN e J. CORMACK, Melodic Improvisation in Karnatak
Music: The Manifestation of Raga, ed by B. NETTL, In the Course of
Performance: studies in the world of musical improvisation, The University
of Chicago Press, Chicago 1998.
17
CAPITOLO I
2. L'arte dimenticata, l'improvvisazione nella musica
occidentale europea
2.1. La musica antica: le esecuzioni improvvisate
La musica dell'Antica Grecia si può ben considerare la culla di
tutta
la
musica
occidentale,3
furono
infatti
i
Greci
ad
affrontare per primi in maniera sistematica e razionale, le
problematiche
fondamentali
dell'esperienza
musicale.
A
differenza delle esperienze musicali di altre civiltà , più legate
alla pratica e rimaste in un sapere pre-scientifico, il percorso
musicale greco è ben documentato. Gli scritti greci sulla
musica influenzarono poi la teoria musicale medioevale e
rinascimentale costituendo la base del sistema musicale
moderno occidentale. 4
I motivi per cui la tradizione musicale greca non sia
sopravissuta
possono
essere
diversi.
Era
sicuramente
piuttosto complessa per i monaci del Medioevo che, ad
esempio, confusero il sistema dei modi cambiandone i nomi.
Anche le poche melodie rimaste, incise in pietra con differenti
3
D. GROUT e C. PALINSCA, A History of Western Music, W. W. Norton &
Co., New York 1996, p. 2.
4
Pitagora (ca. 570- ca. 496) strinse relazioni tra musica e matematica e
determinò gli intervalli dividendo matematicamente la lunghezza di una
corda vibrante. Sul pensiero Pitagorico si mosse poi Aristosseno di Taranto
(ca. 360-300) cercando di risolvere i problemi di intonazione degli
intervalli affidandosi all’orecchio, stabilendo una sorta di temperamento
che verrà poi perfezionato dai teorici medioevali.
18
CAPITOLO I
sistemi di caratteri, sono di difficile interpretazione.
5
Non va
nemmeno sottovalutato il fatto che questa musica era legata a
occasioni sociali che la Chiesa Cristiana guardava con orrore,
o a riti religiosi pagani che si cercava di estirpare favorendo il
patrimonio liturgico.6
Tutti
i
musicologi
concordano
sul
fatto
che
la
musica
nell'antica Grecia fosse quasi interamente improvvisata. Era
primariamente
monofonica
(melodia
senza
armonia
o
contrappunto) e associata con parole, danza o entrambi;
melodia e ritmo erano legate strettamente alla poesia e alla
prosa.
L'unione stretta tra musica e parole era tale da poterle
considerare quasi sinonimi; per i Greci "la musica della
poesia" non era una figura retorica ma una melodia reale, i cui
intervalli e ritmi potevano essere descritti con precisione.
Poesia "lirica" è un preciso riferimento alla "lira", strumento
cordofono caratteristico che, insieme alla più grande "kithara"
veniva usato per accompagnare il canto o la recitazione e,
inoltre, era usato per celebrare i riti religiosi.7
Nella Poetica di Aristotele troviamo un passo, riferito all'arte
poetica ma comprendente elementi musicali (del resto, come
si è detto, poesia e musica erano strettamente legate), in cui
si
fa
esplicito
riferimento
all'origine
improvvisativa
di
quest'arte:
5
E. SURIAN, Manuale di storia della Musica, I: Dalle origini alla musica
vocale del Cinquecento, Rugginenti, Milano 2000, p. 44.
6
GROUT, History cit., p. 2.
7
Ivi, pp. 5-7.
19
CAPITOLO I
"Poiché dunque noi siamo naturalmente in possesso [20]
della capacità di imitare, della musica e del ritmo (i versi,
è chiaro, fanno parte del ritmo), dapprincipio coloro che
per natura erano più portati a questo genere di cose, con
un
processo
graduale
dalle
improvvisazioni
[autoschediasmaton] dettero vita alla poesia. […] Sorta
dunque da un principio di improvvisazione [arches
autoschediastike] - sia essa sia la commedia [10], l’una
da coloro che guidavano il ditirambo, l’altra da coloro che
guidavano i cortei fallici che ancora oggi rimangono in
uso in molte città – e poco a poco crebbe perché i poeti
sviluppavano quanto in essa veniva manifestandosi, ed
essendo passata per molti mutamenti la tragedia smise
di mutare quando ebbe conseguito la propria natura."8
8
ARISTOTELE, Poetica, trad. it. di D. Lanza, Rizzoli, Milano 1987, pp. 127,
129. I termine si trova nell’Iliade (12.192, 15.510, 17.294) e nell'Odissea
(11.536) riferito al combattimento “corpo a corpo†(autoschedios), cioè
con la minima possibilità di pianificare le mosse prima di attuarle. Si veda
anche l’uso nei dialoghi di Platone (Euthyphro 16a) (Menexenus 235c)
(Euthydemus 278e) (Cratylus 413d).
I termini scelti dai traduttori del VI secolo rispecchiano le prassi esecutive
dei generi dal Rinascimento ai giorni nostri. Si può imparare molto sulla
storia della musica Europea attraverso lo studio dell'uso di parole e frasi.
a principio rudes essent, planèque informes (Pazzi 1536, 8)
un principio quasi casuale e isproveduto (Piccolomini, 1575, 80)
Cum ab initio extemporanea esset (Robortelli 1548, 39)
Nata igitur initio extemporanea (Vettori 1560, 40)
ex ipsis extempotariis, id est carminibus ruditer factis genitam esse Poesim
(Maggi e Lombardi 1550, 76)
20
CAPITOLO I
2.2. Il medioevo: il ruolo della notazione
Il periodo dal 500 circa fino al 1000 coincide col tentativo di
codificare la liturgia e porta verso gli inizi della scrittura e
notazione musicale.9
Sappiamo che l'iconografia celebra papa Gregorio Magno
(540-604, papa dal 590), ispirato in segreto da una colomba,
dettare canti liturgici. Nonostante sia un'esagerazione il voler
attribuire la paternità del canto liturgico al solo papa (pare che
il canto "gregoriano" venga, invece, dalla Francia) stupisce il
fatto che centinaia di manoscritti diversi, scritti in tempi e
luoghi molto separati, riportino le stesse melodie in forma
quasi identica. Forse la possibile spiegazione di una fonte
comune ha portato all'idea che Gregorio Magno fosse la fonte
stessa.
Di
fatto
non
c'era
un
adeguata notazione
per
permettere al papa di dettare i canti e il suo contributo,
sine meditatione ulla aliquid scribere (Robortelli 1548, 39)
subitò alicui, nulla meditatione adhibita, in mentem venerant (Vettori
1560, 33)
la poesia con inventioni fatte dapprima all'improvviso (Segni 1549, 284)
la poesia versificando sprovvedutamente (Castelvetro 1570, 35)
la poesia, quasi all'improvista facendo versi un essa, formassero e
generassero (Piccolomini 1575, 71)
da: S. BLUM, Recognizing Improvisation ed by B. NETTL, In the Course
cit., pp. 35-36.
9
SURIAN, Storia cit., I, p. 56.
21
CAPITOLO I
tuttora incerto, pare non vada oltre la compilazione di testi
liturgici. E' difficile comprendere come un vasto repertorio di
canti sia sopravvissuto per secoli prima di essere trascritto.
Una ipotesi è che i canti venivano ricostruiti tramite la
memoria
(quindi
per
trasmissione
orale)
e
tramite
improvvisazione, grazie anche a una serie di convenzioni
formali applicabili alle diverse funzioni liturgiche. Questa
teoria nasce dall'osservazione dei cantori di lunghi poemi
epici, tuttora presenti, ad esempio, nei Balcani, che riescono a
recitare migliaia di versi, apparentemente a memoria, ma, in
realtà , seguendo delle formule di associazione tra temi, suoni,
sintassi, metrica, e così via.10
Il desiderio di fissare i canti attraverso una notazione più
precisa si può quindi far risalire al desiderio di unificazione dei
riti cristiani, di cui Gregorio Magno fu uno dei primi artefici. I
teorici
musicali medioevali, come Guido d'Arezzo (ca. 991-
1033), famoso tra l'altro per aver dato i nomi alle note della
scala, erano monaci, mossi da precisi intenti didattici, con lo
scopo
cioè
di
garantire
una
base
di
apprendimento,
trasmissione ed esecuzione il più uniforme possibile.11
Questi cambiamenti in atto contribuirono, verso l'XI secolo,
alla
formazione
delle
fondamentali
caratteristiche
che
distinguono la musica occidentale dalle altre. La composizione
cominciò lentamente a sostituire l'improvvisazione come modo
di creare musica. Si può affermare che questa, in varie forme,
è la via più naturale nella maggior parte delle culture ed è
10
GROUT, History cit., pp. 50-52.
11
SURIAN, Storia cit., I, p. 123.
22
CAPITOLO I
stata probabilmente l'unica via in occidente fino allo sviluppo
della notazione nel IX secolo. Cominciò solo allora ad
emergere l'idea di scrivere una melodia una volta per tutte
invece che improvvisarne una nuova ogni volta basandosi su
strutture melodiche tradizionali. L'invenzione della notazione,
che rese possibile la stesura di musica in forma definitiva,
comportò la separazione tra composizione ed esecuzione,
rendendo
quest'ultima come una sorta di mediazione tra il
compositore è il pubblico.12
2.3. Il Rinascimento: la scrittura improvvisativa
Ovviamente questi cambiamenti avvennero molto lentamente.
Molte nuove composizioni si svilupparono grazie alla pratica
improvvisativa e l'improvvisazione continuò per lo più in due
modi: ornamentando una melodia data o aggiungendo una o
più linee contrappuntistiche. Il contrappunto era chiamato
discantus supra librum, contrappunto alla mente o sortisatio
(opposto di compositio) ed era parte dell'apprendimento
formale
di
ogni
musicista.
Detto
anche
fauxbourdon,
consisteva nell'aggiunta improvvisata di voci inferiori ad un
dato canto gregoriano. Solo successivamente la tecnica fu
applicata anche alle composizioni scritte.13
12
GROUT, History cit., p. 97.
13
SURIAN, Storia cit., I, p. 173.
23
CAPITOLO I
Dato che la moderna pratica musicale considera un ornamento
semplicemente delle decorazioni indicate da speciali segni o
note più piccole, è importante porre la questione di cosa sia
un ornamento musicale. Ciò che viene in mente subito in
mente pensando agli ornamenti è la qualità di essere
aggiunto, se è più o meno indispensabile, se è essenziale nella
composizione.
Si possono distinguere tre classi di ornamenti. Alla prima
appartengono quelli aggiunti senza dubbio a composizioni giÃ
completate non dall’autore ma da altri musicisti, per lo più
esecutori
come
nei numerosi
manuali
di diminuzioni
e
collezioni di composizioni abbellite scritti tra il XVII e XVIII
secolo. A questa categoria appartengono anche le intavolature
o gli arrangiamenti di composizioni vocali per strumenti a
corda o a tastiera.
Dal lato opposto della scala troviamo quello che si può definire
l’ornamento essenziale, che non può essere omesso senza
distruggere l’idea musicale e rendendola senza senso. Si può
infatti de-decorare una melodia alla sua forma più semplice
fino al limite di non essere più riconoscibile.
Tra le due classi (gli ornamenti aggiunti e quelli essenziali)
troviamo una terza classe che per lo più è praticata nella
musica orientale. Qui l’ornamento non è solo importante e
indispensabile ma è l’essenza stessa dell’esecuzione. In molta
musica orientale, siano i raga indiani o i radif del medio
oriente, è inaccettabile eseguire un brano o una melodia più di
una volta senza ornamenti. Questa melodia rappresenta
un’idea, un’immagine più teorica che pratica, presente nella
24
CAPITOLO I
mente dell’esecutore e dell’ascoltatore, che va poi realizzata
creativamente in ogni singola diversa esecuzione. Diversi
studiosi
concordano
nel
riconoscere
a
molta
musica
medioevale, rinascimentale e barocca questa valenza, al
contrario dell’idea prevalente di una versione scritta originale,
autentica, definitiva.14
Nel rinascimento, se da un lato la composizione prevaleva
nella musica polifonica franco-fiamminga dall'altro continuava
la pratica, soprattutto in Italia, degli esecutori-improvvisatori,
che
accompagnavano
necessariamente
musicale,
per
una
scritta.
la
sua
singola
Questo
linea
genere
immediatezza
particolarmente apprezzata
melodica
di
espressione
comunicativa,
dagli umanisti del
non
era
XV secolo.
L'umanista patrizio veneziano Leonardo Giustinian (ca. 13381446) fa uno dei primi poeti cantori ad affidare i propri
componimenti in lingua volgare all'esecuzione improvvisata.15
Nel XVI secolo si vede un progressivo affinamento delle
tecniche esecutive con conseguente prestigio degli interpreti
strumentali. Gli strumenti si affrancano dall'imitazione della
vocalità , valore assoluto del '50016 verso un riconoscimento
delle qualità espressive, tecniche e foniche peculiari di
ognuno.
Si apre la via al virtuosismo esecutivo e alla trascrizione delle
pratiche improvvisate. Da un lato le "diminuzioni", ossia i
14
E. T. FERAND, A History of Music Seen in the Light of Ornamentation,
“I. M. S. Congress Reportâ€, I (1961), pp. 463-469.
15
16
SURIAN, Storia cit., I, p. 172.
L’imitazione
della
vocalitÃ
è
parte
dell’imitazione della natura.
25
del
concetto
rinascimentale
CAPITOLO I
floridi
passaggi
(gruppi
di
note
di
breve
durata,
ornamentazioni, trilli) che si sostituiscono progressivamente
alla melodia, dall'altro troviamo i primi esempi di musica per
solisti, composizioni scritte in stile improvvisatorio. Non
basate su melodie preesistenti, si sviluppano liberamente,
senza rispettare un metro o una forma definita. Appaiono
sotto
vari
nomi:
"preludi"
o
"preamboli",
"fantasia",
"ricercare".
Le fantasie di Luis Milan (ca. 1500 - ca 1561), nel suo Libro de
musica de vihuela de mano intitulado El Maestro (Valencia,
1536), ci danno un'idea delle improvvisazioni al liuto che si
usava eseguire prima di accompagnare se stessi o un
cantante in una canzone. Ogni fantasia è in un modo dato e
aveva lo scopo di presentare la tonalità del brano vocale che
sarebbe seguito.17 Questo stile, per lo più liutistico, venne poi
applicato all'organo nei Ricerchari mottetti canzoni...Libro
primo (Venezia 1523) di Marc’Antonio Cavazzoni (ca.1490ca.1560), figura di fondamentale importanza nell'ambiente
organistico dell'epoca.18
Venezia e Napoli furono i centri principali di attività dove
lavoravano fianco a fianco i maggiori compositori di ricercari,
fantasie,
capricci
e
altre
forme
di
scrittura
derivate
direttamente dall'improvvisazione. Vale al pena ricordare le
toccate dell'organista veneziano Claudio Merulo (1533-1604)
dallo stile lineare e solenne e Giovanni de Macque (ca.155917
GROUT, History cit., p. 296.
I primi esempi di questi preludi si trovano nelle intavolature per tastiera di
Adam Ileborgh (1448).
18
SURIAN, Storia cit., II, p. 280.
26
CAPITOLO I
1614), il quale, trasferitosi a Napoli nel 1585, porta nella
capitale partenopea la tradizione contrappuntistica fiamminga.
Le sue Consonanze Stravaganti trasferiscono su tastiera arditi
procedimenti armonici vagando attraverso un labirinto di
armonie, come può fare un organista mentre improvvisa.19
L'improvvisatore più famoso del '600 è Girolamo Frescobaldi
(1583-1643). Il suo stile mescola il conservatorismo dei
procedimenti
contrappuntistici
con
l'estro
di
una
sua
straordinaria disposizione all'arte dell'improvvisazione e al
virtuosismo esecutivo che destarono enorme impressione e
grande
interesse
nell'ambiente
musicale
romano
dove
esercitava sia come organista liturgico sia presso le potenti
casate romane. L'arte improvvisatoria di Frescobaldi si riflette
nei due libri di toccate stampati a Roma nel 1615 e nel 1627.
Raccolgono
una
serie
di
composizioni
caratterizzate
da
strutture formali libere e imprevedibili, arricchite da motivi
ornamentali e da passi virtuosistici molto dinamici e complessi
che non hanno riscontro nei predecessori di scuola veneziana
o napoletana.20
2.4. Il barocco: il basso continuo
Nella storia della musica occidentale europea il periodo
19
GROUT, History cit., pp. 297-300; SURIAN, Storia cit., I, p. 283.
20
SURIAN, Storia cit., II, pp.306-308.
27
CAPITOLO I
barocco ha le sue origini nel XVI secolo e continua, in diverse
forme, fino al XVIII. E' stato un periodo importante per
innovazioni e sviluppi.
In tutti gli stili, a prescindere dal paese di provenienza,
l'improvvisazione
sviluppo
melodico
era
e
sempre
presente,
armonico.
Ogni
integrata
musicista,
nello
come
esecutore, decorava, variava, abbelliva, sviluppava con una
serie "standard" di abbellimenti, spesso interpretati con una
certa libertà . Cantanti e violinisti erano giudicati in base alla
loro abilità nella "fioritura", alla decisa decorazione di una
frase o di un passaggio.
La più grande espressione dell'improvvisazione la troviamo
nella realizzazione e nello sviluppo del "basso continuo". Ogni
studio della musica barocca sottolinea l'importanza del basso
continuo. Gli anni tra il 1600 e il 1750 sono anche chiamati
"l'era del basso continuo". Essenzialmente il basso continuo è
la trasformazione di una nota singola al basso in un vero e
proprio accompagnamento.
Johann David Heinichen scrisse uno dei primi testi realmente
esaustivi a proposito del basso continuo: Der General-Bass in
der Komposition (1711, poi rivisto nel 1728). La seconda
edizione, di un migliaio di pagine, è considerata la principale
fonte del periodo.
La sua vita, tra il 1683 e il 1729, si svolge al vertice del tardo
barocco; in questo periodo la cultura tedesca sperimentava
l'impatto degli artisti italiani in tutte le sfere artistiche e, in
particolare, nell'opera. Heinichen si trovò a stretto contatto
con i maggiori eventi musicali della sua era, studiando e
28
CAPITOLO I
lavorando in tre grandi centri del barocco: Lipsia, Venezia e
Dresda. Essendo un esecutore e un compositore attivo,
inserito perfettamente nella cultura musicale del suo tempo
era probabilmente l'uomo ideale per scrivere a proposito di
quella che era essenzialmente una musica d'esecuzione.
La pratica del basso continuo poteva variare largamente,
c'erano
distinzioni
per
l'accompagnamento
delle
diverse
situazioni: sacre, cameristiche e orchestrali senza contare le
variazioni regionali e nazionali. L'armonia era, in ogni caso,
indicata da una combinazione di note al basso più numeri e
accidenti, un codice da cui il musicista avrebbe sviluppato il
suo
accompagnamento;
un
sistema
che
presenta
molti
paralleli con quello odierno, dove per indicare i cambi armonici
si usa un sistema di sigle.
Sulla base di queste informazioni l'accompagnatore suonava la
sua parte scegliendo le voci e quindi determinando il suono e
la densità dell'armonia. Ma il basso continuo non era solo una
successione di accordi, l'esecutore applicava ornamenti in
tutte le parti, normalmente quattro ma anche cinque o sei.
Heinichen divide gli abbellimenti in due gruppi, il primo
contiene quelli che consistono di una singola immutata
esecuzione come il trillo, il transitus (note di passaggio), il
vorschlag (appoggiatura), lo schleiffung (slide), il mordente e
l’acciaccatura. Aggiunge poi "gli ornamenti sono senza fine",
riferendosi all'infinita varietà di espedienti francesi e italiani
mai totalmente codificati e documentati.
Il secondo gruppo include la melodia, passaggi scalari, arpeggi
e l'imitazione. Sono, evidentemente, gli espedienti più comuni
29
CAPITOLO I
utilizzati in ogni improvvisazione basata sull'armonia.
Un’altra forma di improvvisazione da non sottovalutare è
quella sul ritmo. Era pratica barocca suonare le frasi scritte in
ottavi o in sedicesimi con un andamento “puntato†che non
era mai notato nello spartito. Ci si aspettava dall’esecutore
l’improvvisazione della struttura ritmica dei preludi, che erano
stampati in una forma semplice, scheletrica, con note lunghe
e pochi ornamenti scritti.
Un'altra
caratteristica
delle
esecuzioni
barocche
era
la
variazione delle riprese con abbellimenti estemporanei. C. P.
E. Bach, nella prefazione ad una sua raccolta di brani,
sottolinea
l’importanza
delle
variazioni
nel
rapporto
col
pubblico, che proprio da queste valutava la bravura del
singolo interprete ma, contemporaneamente mette in guardia
dall’eccessivo ricorso a queste modifiche, che portava ad
allontanarsi impazientemente dalle note scritte, nel tentativo
di guadagnarsi i “bravo!†del pubblico. 21
A proposito delle improvvisazioni di J. S. Bach su un basso
continuo ci sono due fonti. La prima è L. C. Mizler (1738) che
racconta di come Bach realizzasse il basso continuo come se
la melodia della sua mano destra fosse stata scritta in
precedenza, l’altra è di un allievo di Bach, J. C. Kittel, che
descrive
i
momenti
di
impazienza
di
Bach
verso
l’accompagnamento inadeguato di un allievo e di come si
21
C. P. E. BACH, Sech Sonaten fur Clavier mit veranderten Reprisen,
1970; cit. nella voce “Improvisationâ€, New Grove Dictionary of Music and
Musicians, ed. By S. SADIE, Macmillian Publishing, Washington 1980, p.
40.
30
CAPITOLO I
inserisse alla tastiera aggiungendo delle parti.22
Due accompagnamenti di Bach, per lo stile differente rispetto
alle parti usuali, sono considerati delle realizzazioni di natura
improvvisata esposte in forma scritta: questi si trovano nella
seconda aria
Amore traditore BWV207 e nel secondo
movimento della Sonata in B minore BWV10.
Per quel che
riguarda l’improvvisazione di ornamenti in Bach si possono
guardare le trascrizioni di composizioni di altri autori come un
adagio da un concerto per oboe di Alessandro Marcello nel
Concerto in D minore BWV974 o una trascrizione di Vivaldi
che appare nel Concerto in G BWV973.23
Secondo un celebre aneddoto, nel 1747, alla corte di Federico
il Grande, Bach improvvisò una fuga su un tema datogli dal
re; lo fece magistralmente e, dimostrando quanto sfuocata sia
la linea tra composizione e improvvisazione, creò una raccolta
di brani basati sullo stesso soggetto, ora conosciuta come
Musikalisches Opfer.
Al giorno d'oggi, tuttavia, la maggior parte di questo
espedienti non vengono quasi più utilizzati. Un esempio del
cambio di approccio verso questa pratica si trova in Musical
Interpretation di J. Westrup, pubblicato nel 1971. Westrup
racconta di come J. S. Bach talvolta accompagnasse un trio in
modo da aggiungere una parte melodica convertendolo in
22
J. C. KITTEL, Der angehende praktische Organist, III, 1808; cit. nella
voce “Improvisationâ€, New Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. By
S. SADIE, Macmillian Publishing, Washington 1980, p. 41.
23
“Improvisationâ€, New Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. By S.
SADIE, Macmillian Publishing, Washington 1980, p. 42.
31
CAPITOLO I
quartetto;
in
seguito,
forse
realizzando
le
implicazioni
dell'affermazione, egli si preoccupa di aggiungere che non c'è
bisogno di prendere queste forme di improvvisazione come
criterio per affrontare la musica di Bach o altra musica dello
stesso periodo.
L'improvvisazione di melodie, la totale improvvisazione di una
sezione separata o di un accompagnamento di un solista
restano tematiche controverse, ma sono state largamente
praticate
come
confermano
i
riferimenti
in
scritti
dei
contemporanei di Heinichen come J. Matheson, che scrisse
due testi sull'arte di creare in modo estemporaneo da bassi
dati.
Autorità del post-barocco come F. T. Arnold, il cui The Art of
Accompaniment from a Thorough-Bass (1931), considerato la
raccolta
più
esaustiva
sul
basso
continuo,
tratta
l'improvvisazione della melodia come un male non necessario.
Ma è comprensibile che i teorici non vedano con favore le
attività degli esecutori e tendano, nei limiti del possibile, a
limitarne i possibili danni.24
Di fatto la pratica della musica barocca è molto presente
tuttora
anche
se,
inevitabilmente,
ha
un
carattere
completamente differente dall'originale. Scrive William J.
Mitchell, nell'introduzione alla sua traduzione (1949) del
Versuch uber die wahre Art das Clavier zu spielen di C. P. E.
Bach (1753): "La realizzazione estemporanea di un basso
continuo è un'arte morta. Ci siamo lasciati dietro quel periodo
di leggi non scritte, di assiomi, di cose date per scontate: in
24
D. BAILEY, Improvisation cit., p. 19 e passim.
32
CAPITOLO I
una parola, lo spirito di quel tempo."
Una fonte di inibizione è stata probabilmente la grossa
diffusione delle registrazioni. Spaventa il peso della più piccola
cosa
non
perfettamente
riuscita,
peso
che
sarebbe
trascurabile in un'esecuzione dal vivo; si tenta quindi di
realizzare un'esecuzione perfettamente pianificata, si lavora
per eliminare ogni possibile rischio, ogni imprevisto.
In questi anni, inoltre, l'autenticità delle esecuzioni è stata
materia di dibattito. Se l'obiettivo è quello di riprodurre il più
fedelmente
possibile
l’improvvisazione
un
diventa
esempio
della
chiaramente
musica
un
passata,
problema.
L'adozione di uno stile del passato, preservato nel tempo e
non
sviluppabile
è
una
fonte
di
inibizione
sconosciuta
all'esecutore passato. Lui era l'incarnazione dello stile, ne era
la fonte. Pur facendo attenzione alle differenze regionali e
nazionali, suonare musica barocca era per lui il modo più
naturale
di
suonare
e
l'improvvisazione
sarebbe
stata
accettata come parte dell'esecuzione musicale. Ciò che è certo
è che il suo scopo principale non era la preservazione, in uno
stato immutato, di una musica vecchia più di due secoli.
Sembra che ora l'improvvisazione, quando c'è, abbia un ruolo
strettamente definito e controllato nell'esecuzione di musica
barocca. Un ruolo confinato a completare la parte più fissa e
documentata della tradizione. Si può dire che, per preservare
ciò che è ora il volto immutabile del barocco, l'improvvisazione
è stata spogliata della sua funzione primaria, essere il mezzo
attraverso il quale la musica si rinvigoriva e rinnovava e, se
usata,
è
relegata
solamente
33
a
strumento
decorativo
CAPITOLO I
meticolosamente controllato.25
2.5. Il periodo Classico e Romantico
Verso la fine del XVIII secolo si presentavano due tendenze
contrastanti. Da un lato sia i cantanti che gli strumentisti
andavano
verso
un
perfezionamento
delle
capacitÃ
improvvisative e virtuosistiche; dall’altro i grandi compositori
andavano restringendo la tradizionale libertà d’esecuzione,
attraverso una notazione più rigorosa, per assicurare una
certa qual regolarità delle diverse performance.
Di momenti interamenti improvvisati è difficile discutere
perché, per loro natura non esistono in forma scritta.
Si
riporta che Mozart, ad esempio, improvvisasse spesso fughe e
variazioni
e
che
almeno
una
volta
suonò
una
sonata
estemporanea. Altri musicisti come C .P. E. Bach, Clementi e
Beethoven
fecero
improvvisazioni
lo
stesso.
possono
Alcune
essere
idee
ricavate
su
dal
queste
materiale
sopravvissuto sotto forma di fantasia. Allo stesso modo si
possono considerare le variazioni scritte da Mozart e dal
giovane
Beethoven
come
forme
idealizzate
del
tipo
di
esecuzione che avrebbero poi improvvisato in concerto.26
Uno esempio è la “cadenzaâ€. Durante il periodo classico, ma la
25
D. BAILEY, Improvisation cit., p. 26 e passim.
26
New Grove Dictionary cit., p. 43.
34
CAPITOLO I
pratica comincia già nel Barocco,
molti spartiti di concerti
terminavano con una misura vuota e l'indicazione di cadenza.
Ciò significava che, in questo punto, l'esecutore improvvisava
un passaggio da solo, generalmente basato sul materiale del
movimento precedente, prima di guidare l'orchestra alla coda
finale. I compositori, talvolta, suggerivano una cadenza in uno
spartito separato. Dei ventisette concerti per piano di Mozart
solo
la
metÃ
hanno
cadenze
scritte
dal
compositore.
Beethoven continuò la pratica ma scrisse la cadenza per il suo
ultimo concerto per piano, L’’Imperatore. Successivamente
quasi tutte le cadenze furono preparate dal compositore
invece di lasciare all'estro improvvisativo dell'esecutore.
I motivi di questo cambiamento possono essere ricondotti
all'impazienza verso cadenze mal improvvisate, dai contenuti
inappropriati
rispetto
al
senso
totale
e
unitario
della
composizione. Non solo, bisogna considerare l'influenza del
concetto romantico di artista come eroe solitario e la
consapevolezza dell’unicità della sua espressione musicale.
In quest’epoca, inoltre, il numero dei musicisti ‘amatoriali’
crebbe
notevolmente
di
numero:
un
maggior
rigore
compositivo unito a indicazioni precise nello spartito era un
aiuto per i meno dotati.27
Un
esempio
dell’attitudine
ambivalente
verso
l’improvvisazione è fornito da un episodio della vita di
Beethoven. Si dice di come fosse seccato per aver sentito
Czerny aggiungere delle note al piano durante un’esecuzione
27
Uno degli esempi più belli di ornamenti completamente scritti è il Rondò
in A minore K511 di Mozart.
35
CAPITOLO I
del Quintetto op.16, ma si racconta che egli stesso aveva
improvvisato
una
lunga
cadenza
nell’eseguire
la
stessa
opera.28
Con il maggiore sviluppo della composizione in periodo
romantico, l'integrità della struttura musicale si fece troppo
complessa per permettere un'improvvisazione sensata. Una
struttura più intricata comporta minor flessibilità nella sua
realizzazione.
Questo
trasformazione
può
storica
aiutare
del
a
spiegare
ruolo
e
del
la
grado
dell'improvvisazione nell'esecuzione classica.
A questa trasformazione ha anche contribuito il cambiamento
di ruolo dell'esecutore, su cui ora pesa la responsabilità di
preservare un canone. Per improvvisare con successo è infatti
necessaria una totale familiarità con il linguaggio, l'idioma,
che specifica lo stile caratteristico di un'epoca. Gli esecutori
del
passato
non
avevano
queste
difficoltÃ
in
quanto
suonavano solo la musica corrente. Un anedotto racconta di
quando il giovane Beethoven venne ascoltato per studiare con
Mozart e l’audizione consisteva proprio in un’improvvisazione:
il controllo e la forma erano così sviluppati che Mozart lo
accusò
di
aver
preparato
il
brano
precedentemente.
Beethoven quindi chiese a Mozart di dargli un tema su cui
improvvisare e lo fece, ovviamente. E’ chiaro che quando il
giovane
Beethoven
improvvisò
per
Mozart
lo
fece
nel
linguaggio musicale corrente del 1780. Con l'emergere di un
canone classico, tuttavia, ciò è cambiato. Ora si deve
mantenere un repertorio che comprende più di tre secoli di
28
New Grove Dictionary cit., p. 46.
36
CAPITOLO I
musica. Questo, tranne che in qualche caso, preclude la
possibilitÃ
di
sviluppare
la
familiaritÃ
necessaria
per
improvvisare.29
Il XIX secolo si può considerare come una transizione tra un
periodo in cui non c’erano composizione considerate ‘classiche’
e un periodo in cui si configura un repertorio di composizioni
passate da preservare. I lavori erano tutti originali e nati da
uno stretto rapporto tra il compositore e l’esecutore cioè scritti
per un particolare strumentista o cantante oppure per essere
suonati dal compositore stesso. Nel
XX secolo, invece, gli
esecutori si limitano per lo più a risuonare una mole tutto
sommato ridotta di materiale classico, limitando il loro apporto
personale
a
sfumature
nell’interpretazione
della
musica
scritta.
2.6. Il XX secolo
Un ritorno alle pratiche improvvisative, anche se in un senso
completamente diverso dai precedenti, c’è stato nella seconda
metà del XX secolo e si è sviluppato negli Stati Uniti per poi
passare in Europa influenzando, paradossalmente, gli autori
delle pratiche compositive più complesse quali la cosiddetta
29
C. S. GOULD e K. KEATON, The Essential Role of Improvisation in
Musical Performance, “The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 58
(2000), pp. 143-148, qui p. 144.
37
CAPITOLO I
serialità integrale della scuola di Darmstadt30.Questa musica è
comunemente indicata come “aleatoria†per il fatto che il
compositore indica soltanto alcuni dati, lasciando all’esecutore
o al caso gran parte dell’iniziativa. Con l’alea si sgretola il
concetto
di
immutabile.
composizione
Una
quale
manifestazione
opera
di
d’arte
questa
compiuta,
rottura
è
il
tentativo di introdurre nuovi sistemi di notazione, collegati
solo in parte con la notazione tradizionale. In realtà ognuna di
queste composizioni presenta un nuovo e personale sistema di
notazione costituito da diversi segni grafici, diagrammi, linee,
figure geometriche, il tutto mischiato con pentagrammi e note
convenzionali.
Il primo compositore a far uso di queste tecniche fu
l’americano John Cage (1912-1992). Da un punto di vista
teorico, Cage tende ad allargare il concetto di musica ad ogni
rappresentazione sonora dal rumore al silenzio inteso come i
suoni non scritti, in quanto, per Cage, il silenzio assoluto non
esiste.31 Emblematico, per quest’ultimo aspetto il lavoro
30
Cittadina vicino a Francoforte dove si tennero tra il 1946 e il 1990 dei
“Corsi estivi internazionali per la Nuova Musicaâ€. Vi gravitarono diverse
figure di primo piano della scena musicale: interpreti come Severino
Gazzelloni, musicologi come T. W. Adorno, compositori come G. Ligeti, K.
Stockhausen, L. Nono.
31
“Fu dopo essere andato a Boston che mi recai in una camera anecoica
dell’Univerisità di Harvard. […] Comunque, in quella stanza silenziosa, udii
due suoni, uno alto e uno basso. Così domandai al tecnico di servizio
perché, se la stanza era tanto a prova di suono, avevo udito due suoni.
Disse: ‘Me li descriva.’ Lo feci. Rispose: ‘Il suono alto era il suo sistema
nervoso in funzione, quello basso il suo sangue in circolazione’†(J. CAGE,
38
CAPITOLO I
4’33’’, del 1952, che richiede all’esecutore di prepararsi a
suonare e restare fermo per il tempo indicato dalla partitura,
lasciando che la “musica†si concretizzi nei rumori e nei suoni
provenienti dalla sala.32
In Cage l’improvvisazione si avvicina molto al significato di
“casualità â€.33 Scelte strutturali vengono lasciate al caso sia
nella composizione, come in Music of Changes, composta
combinando diversi materiali attraverso il lancio di tre
monete; o nell’esecuzione, come nel Concerto per pianoforte e
orchestra
(1958),
dove
84
moduli
differenti
vengono
combinati dall’orchestra in qualsiasi ordine o combinazione.
Nel Klavierstuck XI di K. Stockhausen (1956) l'esecutore
suona in un ordine improvvisato una serie di brevi passaggi
trascritti su una grande partitura rettangolare (53 x 93cm).
L’esecutore può scegliere casualmente tra i 19 gruppi di note,
seguendo poi le indicazioni di tempo e dinamica che trova alla
fine di ciascun gruppo e applicandole al successivo, scelto
sempre
in
maniera
casuale.
Il
brano
termina
quando
l’esecutore ha ripetuto due volte ogni gruppo.
Silenzio, Antologia da Silence e A Year from Monday, a cura di Renato
Pedio, Feltrinelli, Milano 1971, p. 88.
32
Per un’analisi approfondita si veda S. DAVIES, Themes in the Philosophy
of Music, Oxford University Press, New York 2003, pp. 12-29.
33
Il compositore stesso interpreta con auto-ironia il legame tra casualità e
composizione che caratterizza la sua produzione come in questo passaggio
conclusivo di una finta intervista di-a Cage:
“‘Ma, seriamente, se la musica è questo, io la potrei scrivere quanto lei.’
‘Ho detto niente che le faccia pensare che la ritengo stupido?’â€(CAGE,
Silenzio cit., p. 36).
39
CAPITOLO I
L’americano Carles Ives concepì la sua Concord Sonata
lasciando la libertà all’esecutore di inserire o eliminare certe
parti. Il compositore ha lasciato quattordici versioni diverse di
Emerson,
il
primo
movimento
della
sonata,
lasciando
intendere che un esecutore avrebbe potuto scegliere tra
queste. Il lavoro di Ives, però, è di tale complessità che risulta
difficile immaginarsi qualcuno con la confidenza necessaria per
improvvisare su queste strutture al di fuori del compositore
stesso.
Il francese Pierre Boulez, verso la fine degli anni ’50, si
allontana dalla serialità integrale per avvicinarsi all’alea,
inserendo
elementi
casuali
solo
dopo
la
composizione,
favorendo così le scelte dell’interprete. Queste scelte servono
a
garantire
la
“mobilità â€
dell’opera,
ovvero
a
mettere
l’interprete in una situazione di novità ad ogni nuova
esecuzione. Per Boulez questa mobilità , o “indisciplina localeâ€,
è radicalmente diversa dal “casoâ€. Scrive in proposito il
compositore:
“Penso che il caso non produca gran che in quanto tale.
Quindi, il mio progetto non consiste nel cambiar l’opera
ad ogni istante, né far sì che essa appaia in una luce
completamente nuova, ma nel cambiare i punti di vista,
le prospettive che si hanno su di essa, mentre il suo
significato resta fondamentalmente lo stessoâ€.34
Il compositore critica l’utilizzo di elementi realmente casuali
34
P. BOULEZ, Per volontà e per caso, trad. it. di P. Gallarati, Einaudi,
Torino 1977, p. 84.
40
CAPITOLO I
nella composizione, in polemica aperta con Cage. Il caso, egli
scrive,
“non fa parte di un progetto estetico, sostanzialmente lo
rifiuta. Introduce solo degli elementi, dei campioni, e, alla
fine, non presenta alcun interesse oltre quello statistico;
cioè la possibilità d’avere, statisticamente parlando, una
cosa interessante su un milioneâ€.
35
Per Boulez, l’utilizzo di elementi casuali
“maschererebbe una manchevolezza fondamentale nella
tecnica della composizioneâ€.36
In realtà la maggiore libertà prevista da queste composizioni
non rappresenta un tentativo di riunione tra compositore e
interprete. Boulez afferma:
“ho sentito dire che l’introduzione nella musica delle
dimensioni
libere
costituisce
un’abdicazione
del
compositore. Credo, al contrario, che la dimensione libera
implichi una sorta di superpotenza del compositore, nel
senso che è molto più difficile costruire una città che
costruire una strada: la strada va da un punto all’altro,
mentre la città richiede un gran numero di strade e
direzioniâ€.37
35
Ivi, p. 86.
36
P. BOULEZ, Note di apprendistato, a cura di Paule Thévenin, trad. it. di
L. B. Savarino, Einaudi, Torino 1968, p. 4.
37
BOULEZ, Per volontà cit., p. 87.
41
CAPITOLO I
La distinzione tra compositori ed esecutori è radicale:
“Gli strumentisti […] vivono su cose già esistenti. Non
hanno,
per
dirlo
con
esattezza,
facoltÃ
inventive;
38
altrimenti sarebbero compositoriâ€.
In
un
quadro
dove
l’idea
di
creazione
musicale
è
assolutamente lontana dalla performance, non stupisce che il
giudizio sull’improvvisazione sia negativo:
“l’improvvisazione […] non sostituisce l’invenzione. […] La
risposta
che
[gli
strumentisti]
danno
al
fenomeno
inventivo è in generale un atto di memoria manipolataâ€.39
3. L’arte rinata: l’improvvisazione jazzistica
3.1. L’esperienza del Jazz
Nel New Grove Dictionary of Music and Musicians, alla fine
della voce dedicata all’improvvisazione nella musica europea
si legge:
“bisogna rivolgersi verso altri generi musicali, soprattutto
38
Ivi, p. 120.
39
Ibidem.
42
CAPITOLO I
il
Jazz,
per
trovare
un
uso
creativo
e
vigoroso
dell’improvvisazioneâ€.40
Il Jazz è senza dubbio il contributo più importante alla
rinascita dell’improvvisazione nella musica occidentale del XX
secolo. Una musica unica, con grande vitalità ed enorme
importanza sociale e musicale che si è diffusa ovunque nel
mondo ed è largamente riconosciuta. Testimonia al musicista
occidentale la possibile riunione tra il creare e l’eseguire
musica con la possibilità di raggiungere un più alto livello di
espressione musicale.41
Nel trattare l’improvvisazione nel jazz, e tralasciando il
dibattito musicologico che da quasi un centinaio di anni
rincorre una musica in costante evoluzione e cambiamento nel
difficile
tentativo
di
dare
una
definizione
univoca
e
omnicomprensiva al fenomeno42, prendiamo come punto di
partenza la definizione di Jaochim-Ernst Berendt, utile per
inquadrare globalmente l’argomento:
Il jazz è un modo artistico di suonare la musica nato negli
Stati uniti dall’incontro del nero con la musica europea. La
strumentazione, la melodia e l’armonia del jazz nascono
prevalentemente dalla tradizione musicale occidentale. Il
ritmo, il modo di fraseggiare e la formazione del suono
40
“Improvisationâ€, New Grove Dictionary cit., p. 50-51, (trad mia).
41
D. BAILEY, Improvisation cit. p. 48.
42
Per una trattazione estesa rimando a L. CERCHIARI, Il Jazz: Una civiltÃ
musicale afro-americana ed europea, Tascabili Bompiani, Milano 1997, pp.
7-26.
43
CAPITOLO I
nonché certi elementi dell’armonia del blues nascono
dalla musica africana e dalla sensibilità musicale del nero
americano. Il jazz si differenzia dalla musica europea per i
seguenti tre elementi fondamentali: 1. Per un rapporto
musicale con il tempo che viene indicato con la parola
swing. 2. Per una spontaneità e una vitalità della
produzione
musicale
in
cui
l’improvvisazione
riveste
importanza. 3. Per una formazione del suono e un modo
di fraseggiare in cui si riflette l’individualità del jazzista
esecutore.
[…]
I
diversi
stili
e
le
diverse
fasi
dell’evoluzione attraverso cui è passata la musica jazz
dalla sua nascita all’inizio del secolo a tutt’oggi diventano
una parte essenziale per il fatto che ai tre elementi
fondamentali
di
un’importanza
volta
diversa
in
e
volta
il
loro
viene
attribuita
rapporto
muta
continuamente. In questa definizione è compreso prima di
tutto il fatto che il jazz è nato dall’incontro fra ‘nero’ e
‘bianco’ e che quindi non potrebbe esistere né come un
dato di fatto esclusivamente africano, né come un dato di
fatto esclusivamente europeo.â€43
Dopo un’analisi dei valori artistici riducibili all’Africa, in
particolare all’area sub-sahariana, che hanno contribuito alla
nascita
della
musica
jazz,
esporrò
le
caratteristiche
fondamentali della pratica dell’improvvisazione jazzistica da
un punto di vista tecnico-pratico, cercando di mettermi nei
panni di un ascoltatore medio senza troppe conoscenze
musicali o storiche. Non mi soffermerò sui differenti periodi
43
J. E. BERENDT, Il nuovo libro del Jazz- dal New Orleans al Jazz Rock,
trad. it. di G. Barazzetto, Garzanti, Milano 1986.
44
CAPITOLO I
della storia del jazz in quanto le caratteristiche fondamentali
dell’approccio all’improvvisazione non cambiano.44.
3.2. Influenze africane
Uno
degli
elementi
caratteristici
della
musica
africana,
sopravvissuto tra Seicento e Novecento nelle Americhe, è la
relazione lingua-suono. Grazie ad un’identità suono-senso
estranea ad altre culture, l’unione di lingua e suono permette
ad uno strumento di essere impiegato semioticamente come
mezzo di comunicazione. Gli strumenti a fiato e quelli a
percussione vengono utilizzati per dar forma ad un testo. Le
lingue africane, quelle Bantu in particolare, contengono vere e
proprie note legate ad intervalli di seconda o di terza: la
musica che unisce le sillabe da alla parola il suo significato ed
è di una precisione tale da poter essere trascritta utilizzando la
notazione europea. Questa musica sembra andare incontro al
sogno dei musicisti di poter esprimere significati recepibili in
modo univoco dagli ascoltatori e anche a quello dei teorici di
poter ricostruire con l’analisi, una sorta di grammatica dei
significati caratteristici di ogni linguaggio musicale.
L’approccio al ritmo separa nettamente la cultura africana da
quella europea. Il mondo “biancoâ€, dall’avvento della civiltÃ
44
Rimando ai testi di J. E. Berendt, di G. Schuller o alle altre numerose
opere storiche facilmente reperibili per ogni ulteriore approfondimento.
45
CAPITOLO I
cristiana, ha, in un certo senso, demonizzato il parametro
ritmico, reprimendo la fisicità dell’espressione musicale. La
musica sacra vocale, concentrata sulla dilatazione del tempo e
l’enunciazione delle sillabe nella ricerca di una dimensione
celeste piuttosto che terrena, celebra una divinità unica e
onnipotente. Similmente, ma con risultati opposti, il ritmo per
l’africano è radicato nel proprio mondo spirituale, animista,
dove il politeismo parte dagli elementi della natura ma arriva
anche alla costruzione degli strumenti musicali, prova del
legame spirituale tra uomo e natura.
Lo sviluppo ritmico della musica africana si basa, come quello
europeo, sull’organizzazione dei valori 2 e 3 ma si differenzia
per la combinazione tra i due valori. In senso orizzontale si
riscontra una grande varietà di combinazioni additive, cioè, ad
esempio, la suddivisione di un metro di 8 impulsi in gruppi più
piccoli di 2 e 3, sommati tra loro. In senso verticale c’è la
sovrapposizione del 2 e 3 o viceversa, e dei relativi multipli,
ovvero la cosiddetta ‘poliritmia’, la sovrapposizione di più
divisioni e accenti.45
Da un punto di vista formale si riscontrano alcuni elementi che
rivelano un rapporto stretto con il jazz quali lo schema
antifonale e il ritornello ripetuto. Lo schema antifonale ha la
forma di un coro che risponde ad un solista, ma anche dove
non c’è una netto richiamo
domanda-risposta la struttura
resta quella. Anche nei canti più semplici come, ad esempio, le
45
Il fondamento fisico della poliritmia si fa risalire alla disposizione degli
armonici naturali, ossi le altezze prodotte da una fondamentale. Le
frequenze sono regolate da proporzioni 2:1, 3:2, 4:3, 4:3, 5:4, 6:5, ossia
gli stessi rapporti matematici tra 2 e 3 costitutivi della poliritmia.
46
CAPITOLO I
ninne-nanne, le parole sono disposte in forma domanda
risposta anche se cantate dallo stesso individuo. Questo
schema antifonale si sovrappone alla forma ritornello dove il
solista improvvisa nuovi versi mentre il coro ripete le stesse
frasi.46 La voce, il timbro in particolare, è un altro elemento
che rivela una concezione radicalmente diversa da quella
europea. Il timbro viene piegato e personalizzato, sia nella
voce che negli strumenti, alla ricerca di suoni più complessi,
più sporchi. Il timbro e il colore vengono modificati a seconda
delle urgenze espressive del momento.47
Andrò ora ad analizzare più dettagliatamente il contenuto
musicale del jazz, prendendo in esame le forme e le strutture,
i materiali sonori e le tecniche di improvvisazione,
garantire
le
nozioni
base
necessarie
alla
per
comprensione
dell’improvvisazione jazzistica come fenomeno creativo ed
artistico.
3.3. Il repertorio jazzistico: forme variabili
Composizioni intese come una melodia accompagnata da una
progressione
armonica
sono
state
la
struttura
per
l’improvvisazione attraverso la maggior parte della storia del
46
G. SHULLER, Il Jazz. Il Periodo Classico. Le Origini. Oliver, Morton,
Armstrong, a cura di M. PIRAS, EDT, Torino 1996.
47
CERCHIARI, Il Jazz cit., pp. 27-52.
47
CAPITOLO I
jazz. Da un periodo all’altro spirituals, rags e canzoni pop
hanno contribuito a formare un repertorio condiviso di brani
che i musicisti chiamano “standardsâ€. La melodia o il tema
viene chiamato head (testa48) e la progressione armonica
changes (cambi49).
E’ convenzione tra musicisti esporre50 la
melodia all’inizio e alla fine della performance, nel mezzo i
musicisti improvvisano a turno seguendo ciclicamente la
struttura formale del brano. Un ciclo intero viene chiamato
chorus.51
Il repertorio di standards jazz include molti brani utilizzati
originariamente
nel
musical
teatrale
o
cinematografico
composti da autori come George Gershwin, Cole Porter,
Leonard Bernstein, Hoagy Carmichael, Richard Rogers, Henry
Mancini,
ma
anche
canzoni
pop,
come
quelle
di
Burt
Bacharach, ad esempio, o le composizioni di un musicista jazz
come Duke Ellington. Dagli anni ’60 anche una parte di musica
brasiliana, in particolare la Bossa Nova di Antonio Carlos
Jobim, entrò a far parte del bagaglio dei musicisti di jazz,
48
Tra i tanti gesti convenzionali che vengono utilizzati dai jazzisti uno è
proprio l’indicarsi la testa quando, dopo uno scambio di improvvisazioni, si
vuole tornare ad eseguire la melodia principale. Questa pratica è comune
anche tra i musicisti italiani che però chiamano la melodia semplicemente
“temaâ€.
49
Il termine deriva da chord changes, ovvero i cambi di accordo (i
movimenti della progressione armonica), tra musicisti italiani si parla di
“cambiâ€.
50
Due volte se il tema è un blues o un’altra forma breve.
51
In italiano si usa la forma inglese o l’espressione “giroâ€.
48
CAPITOLO I
grazie alle commistioni di alcuni artisti come Stan Getz52. I
brani originali scritti dai jazzisti vengono invece chiamati jazz
tunes e, solitamente, si tende a separali dagli standards anche
se talvolta quest’ultimo termine viene utilizzato, più che per
indicare
una
certa
tipologia
di
composizioni,
come
un
contenitore dei brani che ogni jazzista è tenuto a conoscere, e
viene quindi riferito, sia agli standards veri e propri, che alle
jazz tunes o a certe bosse nove. La forma più tradizionale in
assoluto resta il blues, breve struttura a dodici battute che, in
ogni stagione del jazz, è stata soggetta alle più elaborate e
fantasiose modifiche.
Ogni periodo della storia del jazz ha avuto musicisti impegnati
nel doppio ruolo di improvvisatori e compositori e numerose
composizioni sono entrate a far parte del bagaglio culturale di
ogni musicista. Di fondamentale importanza sono i temi di
Charlie Parker, costruiti per lo più su strutture armoniche
tradizionali o di standards, le composizioni di Thelonious Monk,
Horace Silver, John Coltrane, Charles Mingus, Miles Davis,
Herbie Hancock, Wayne Shorter e molti altri.
E’ difficile stabilire come o quando una composizione diventi
uno standard; è probabile che la diffusione tra i musicisti
abbia premiato i brani con una struttura più facilmente
memorizzabile e una progressione armonica in grado di
stimolare l’improvvisazione. Particolare fortuna hanno avuto
anche
le
composizioni
che,
senza
un
impianto
formale
eccessivamente complesso, creavano uno stacco rispetto al
52
Va detto che le commistioni tra jazz e musiche centro e sud americane
si hanno già dal primo decennio del Novecento.
49
CAPITOLO I
passato, presentando caratteristiche armoniche nuove, mai
incontrate prima, come la famosa Giant Steps (1959) di J.
Coltrane, un tour de force attraverso diverse tonalità legate in
modo inusuale, che ancora oggi spaventa ogni studente di
musica jazz.
Fino a metà anni ’70 la circolazione della musica scritta è stata
piuttosto relativa. L’apprendimento degli standards avveniva
attraverso la diretta trascrizione dai dischi o attraverso gli
incontri dei musicisti, col risultato che spesso le versioni
differivano notevolmente. La tonalità , ad esempio, poteva
variare, se la versione d’origine comprendeva un o una
cantante, che solitamente spostava la tonalità del brano per
centrare l’estensione della melodia secondo le proprie capacitÃ
vocali.
Ne consegue che parte dell’apprendimento di un
jazzista consiste
nell’imparare a suonare lo stesso brano in
una qualsiasi delle dodici tonalità . Questo comporta un
apprendimento della musica differente, basato più sull’ascolto
degli intervalli e la capacità di suonare mentalmente le
melodie piuttosto che sulla memoria motoria derivante dalle
diteggiature o su quella visiva legata alle geometrie dello
strumento, favorendo il controllo della musica necessario per
poterla poi modificare nell’improvvisazione.
Verso la fine degli anni ’70, per iniziativa di un gruppo di
studenti del Berklee College of Music di Boston, vide la luce il
primo Real Book, ovvero una raccolta di standards e jazz
tunes. Il testo conteneva qualche centinaio di brani, e, tra
questi, standards trascritti dalla fonte più originale possibile,
arricchita però dalle modifiche diventate poi prassi tra i
50
CAPITOLO I
musicisti,
e
molti
brani
originali
più
moderni,
chiesti
direttamente a compositori come Keith Jarrett, Steve Swallow
e Carla Bley. Il testo era (ed è, visto che continua a circolare
in modo capillare) svincolato dal diritto d’autore: gli standards
furono semplicemente trascritti e i jazzisti consegnarono le
loro
composizioni
rinunciando
ai
diritti
per
favorirne
la
diffusione.53 Rivisto, corretto, e seguito da versioni legali54,
resta di fondamentale importanza per comprendere l’approccio
del musicista di jazz verso il brano musicale, la forma e la
notazione musicale.
Esempio 1. Un brano del pianista T. Monk così come si
presenta nel Real Book.
53
Devo queste informazioni a conversazioni con Steve Swallow.
54
In realtà l’approccio degli studenti verso questi testi è sempre indirizzato
alla libera circolazione, contro ogni possibile legge sul diritto d’autore.
51